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il volta alpinista 73


sure appena tornato a Ginevra, e pubblicò, con l’aggiunta di alcune osservazioni ed esperienze fatte sulla vetta, in opuscolo. Tale Relazione il geologo ginevrino inserì poi testualmente nel

    (e così è intitolata) tra le Ghiacciaie di Boissons e del Montanvert nella Savoia. Reputo far cosa grata al lettore riportandola per intero.

    La Vergine che al Sole il crin dispoglia
      De’ più fervidi raggi, aperta ancora
      Del suo bel tetto non gli avea la soglia,

    Quando a me venne un sogno in sull’Aurora
      Di forme così belle e sì distinto,
      Che maggior lume il ver mai non colora.

    Da gran montagne io mi vedea ricinto,
      Che dar pareano assalto al ciel superno,
      Tanto le acute cime avean sospinto.

    Tra lor biancheggia un ampio ghiaccio eterno
      Presso cui ride giovine verzura,
      Che nulla teme sì vicino verno.

    M’appressai desïoso; e qui la dura
      Neve con l’una, e qua con l’altra mano
      Biondissima io toccai spica matura.

    Multiforme è quel ghiaccio: in largo piano
      Si stende qui, là fassi alta muraglia,
      Altrove sembra un bianco mar, se invano

    Non move agli Austri l’Aquilon battaglia
      D’orribili urli armato e d’aspri fischi,
      E che un’onda s’abbassi, e l’altra saglia

    E qui sorge in gran torri, e in obelischi
      Termina strani, e là tu vedi aprirsi
      Di cerulee fessure orridi rischi,

    E le candide punte colorirsi,
      Mentre dal cielo opposto il Sol raggiava
      D’una porpora tal che non può dirsi.

    Con maraviglia muta io riguardava,
      Quando mi scosse un così gran fracasso,
      Ch’io mi volsi a colui che mi guidava;

    E seppi come dirupato al basso,
      Svelto dal proprio peso o pur dal vento.
      Era un vasto di neve antico masso;

    E che sepolto pria quasi che spento
      Sotto forse potria l’uomo infelice
      Col tugurio restarvi, o con l’armento.

    Mentre il buon condottier questo mi dice,
      Non però spaventato il pie’ s’arresta,
      Ma seguo a costeggiar l’alta pendice.

    Poi ci mettemmo in mezzo a una foresta
      Di larici, di pin, d’abeti folta,
      Che al ciel piramidando ergon la testa

    Quindi uscimmo in bel prato ove raccolta
      Era gente leggiadra, eran donzelle.
      Che non temêr la via scoscesa e molta