Pagina:Alfieri, Vittorio – Della tirannide, 1927 – BEIC 1725873.djvu/119

Da Wikisource.
 
libro i - capitolo ii
113



rende ragione a persona, né v’è chi dal suo volere il diparta, né chi al suo potere e volere vaglia ad opporsi».

Costui che in mezzo agli uomini sta come starebbe un leone fra un branco di pecore, non ha legami con la societá, se non quelli di padrone a schiavo; non ha superiori né eguali né parenti né amici; e benché abbia egli per inimico l’universale, le forze tuttavia sono tanto dispari, stante l’opinione, che si può anche asserire che egli non abbia nemici. Costui non si crede di una stessa specie che gli altri uomini; e veramente troppo diverso dée credersi, poiché gli altri tutti, che hanno pure (quanto all’apparenza almeno) e faccia e atti e intendimento umano, soggiacciono a lui ciecamente, e nell’obbedirlo fan fede ad un tempo e della loro inferioritá e della di lui maggioranza. Costui, per lo piú poco avvezzo a ragionare, e molto meno a pensare, non conosce e non prezza altra distinzione fra gli uomini, che la maggior forza; e non la forza del corpo (che egli per sé non ne ha niuna) ma la forza che sta nella opinione dei molti uomini esecutori venduti delle principesche volontá. Il principe vede soggiacere a lui qualunque merito, qualunque dottrina, qualunque virtú, che in eminente grado distinguano l’un uomo dall’altro: il dotto non meno che l’ignorante, il coraggioso non men che il codardo, il fortissimo non men che il piú debole; tutti egualmente egli vede tremare di lui; quindi, senza sforzo veruno d’ingegno, il principe fra se stesso conchiude, (e ottimamente conchiude) che l’uomo veramente sommo è quel solo che comanda e atterrisce un maggior numero d’altri uomini.

Posato questo principio, giustissimo nel capo di chi regna, verrá dunque il principe a stimare se stesso sopra ogni cosa, e ad accarezzare e proteggere infra il suo branco quei soli che piú l’obbediscono, e che piú s’immedesimano nelle di lui opinioni.




 V. Alfieri, Opere - iv. 8