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Pagina:Alfieri, Vittorio – Della tirannide, 1927 – BEIC 1725873.djvu/306

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iv. la virtú sconosciuta
 



prezzo) a te stesso quella libertá, che se a farti vero cittadino insufficiente è pur sempre, poiché tal non sei nato, a non impedirti di essere e dimostrarti uomo pur basta, ed in oltre dolcemente ripieno il tuo cuore di nobile e degno amore, infelice a tai patti reputar non ti déi; né io ti concedo che tu sii colla fortuna tua ingiusto ed ingrato. Che di me ti dolga mi è dolce; poiché il moderato dolore agli animi teneri e grandi è pascolo, che ad essi anco arreca un loro particolare diletto; ma che tu ten disperi, non voglio. Assai gran parte ti resta di quelle cose che all’umano cuore piú giovano; anzi tutte ti restano, poiché quella stessa santa amistá che tra noi passava e che pure, nol niego, è cosí importante e necessario sollievo alla umana miseria, tu la ritrovi tuttora, e sotto piú piacevole e lusinghiero aspetto, nel cuore dell’amata tua donna. Con essa delle piú alte cose parlare ti è dato; ella tutte le intende, le assapora, le sente. Sovrano impulso al ben fare dal dolce e sublime suo conversare trarrai, e l’hai tratto finora.

Vittorio. O dolcissimo amico, tu mi parli di cosa che sola di seguitarti impedivami; argomentar puoi quindi s’io l’ami. Sostegni della mia vita, d’ogni opera mia entrambi voi l’anima siete; e tu, sì, benché tolto dagli occhi miei, tu il sei tuttavia; e se in essa te tutto ritrovato non avessi, i soli legami d’amore a ritenermi in vita eran pochi. Ma spesso, tu il sai, crudelmente costretto son io di lasciarla; e son quelli i momenti terribili del mio piú feroce delirio. Di te mi ritrovo io privo per sempre, di essa troppo piú a lungo ch’io sostenere nol posso; in preda solamente a me stesso in tal guisa rimasto, me stesso invano ricerco e non trovo. Ed ecco come alla accesa mia fantasia altro sfogo o rimedio non soccorre che il pianto o le rime. Ed ecco come, ora desiando, ora immaginando di vederti e parlarti, io ho vissuti questi due anni dacché mi sei tolto. Ma pur troppo in me sento un funesto presagio che questa prima volta sará la sola ed ultima in cui mi fia dato il favellarti e l’udirti: e il crudel fato alle eterne sue leggi per or derogando, quest’una forse conceduta non mi ha che come un lieve compenso all’inopinato e barbaro modo con cui rapito mi fosti.