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libro ii - capitolo vi
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Capitolo Sesto

Se un popolo che non sente la tirannide la meriti o no.

Quel popolo che non sente la propria servitú, è necessariamente tale che non concepisce alcuna idea di politica libertá. Pure, siccome la totale mancanza di questa naturale idea non proviene giá dagli individui, ma bensí dalle invecchiate loro circostanze, che son giunte a segno di soffocare in essi ogni lume primitivo della ragion naturale; la umanitá vuole che al loro errore si compatisca e che non si disprezzino affatto costoro, ancorché disprezzati siano e disprezzabili. Nati nella servitú, di servi padri nati anch’essi di servi, donde oramai, donde potrebber costoro aver ritratto alcuna idea di libertá primitiva? Naturale ed innata nell’uomo ella è, mi si dirá da taluno; ma e quante altre cose non meno naturali, dalla educazione, dall’uso e dalla violenza, non vengono in noi indebolite o cancellate interamente ogni giorno?

Nella romana repubblica, in cui ogni romano nascea cittadino e riputavasi libero, vi nasceano pur anco fra i soggiogati popoli alcuni schiavi, che non poteano ignorar di esser tali, ogni giorno vedendo davanti a sé i loro padroni esser liberi; e coloro si credeano pur di esser servi e nati per esserlo; e ciò soltanto perché erano educati, e di padre in figlio sforzati a riputarsi tali. Ora se nel seno stesso della piú splendida politica libertá che siasi mai vista sul globo, quegli uomini ignoranti e avviliti credeano di dover essi soli esser servi, non sará maraviglia che nelle nostre tirannidi, dove non si profferisce né il nome pure di libertá, veri servi si credano quei che vi nascono; o, per dir meglio, che non conoscendo essi libertá non conoscano né anche servaggio.

Parmi perciò, che i popoli nostri si debbano assai piú compiangere che non odiare o sprezzare; essendo essi innocentemente, e per sola ignoranza, complici senza saperlo del delitto