Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. I, 1946 – BEIC 1727075.djvu/145

Da Wikisource.

atto terzo 139
nella tregua fidando: a chi improvviso

gli assal, fia lieve aspro macello farne.
Orrido dubbio a lor timore aggiunga:
nulla sapran di Polinice...
Eteoc.   Nulla?
Tutto sapranno; e in lor cosí ben altro
sará il terror. Si mostri ad Argo in alto
del traditor la testa; atro vessillo,
d’infausto augurio a lor soltanto; a noi,
presagio, e pegno, di compiuta palma.
Creon. Di rimandar l’oste nemica in Argo,
dunque non fargli istanza omai. Sospetto
gli accresceresti, e invan: s’anco ei cedesse,
ch’esser non può, ten torneria piú danno.
Adrasto appena i nostri campi avrebbe
sgombri, che poi, nel risaper la morte
data al genero in Tebe, assai piú fiero
vendicator ritornerebbe, a ferro,
a fuoco, a sangue, il mal difeso regno
tutto mandando. Re, tu ben scegliesti:
dell’una mano al traditor gastigo,
dell’altra arrechi inaspettato, a un tratto,
guerra, terror, confusíon, rovina.
Eteoc. Previsto men, terribil piú fia il colpo.
Disponi tu verace guerra; io finta
pace... Ma vien la madre: andiam; se d’uopo
fu mai sfuggirla, è questo il dí.
Creon.   Si sfugga.


SCENA SECONDA

Giocasta, Antigone.

Gioc. Vedi? ei da me s’invola: or, della madre

anco diffida?...
Antig.   Usurpator diffida