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206 antigone
Creon.   Non è voce al mondo,

che basti a impor legge a Creonte.
Emone   Al mondo
brando v’ha dunque, che le inique eggi
può troncar di Creonte.
Creon.   Ed è?
Emone   Il mio brando.
Creon. Perfido. — Insidia i dí paterni; trammi
di vita, trammi; osa; rapisci, turba
il regno a posta tua... Son sempre io padre
di tal, che omai figlio non mi è. Punirti
non so, né posso: altro non so, che amarti,
e compianger tuo fallo... Or di’; che imprendo,
che non torni a tuo pro? Ma, sordo, ingrato
pur troppo tu, preporre ardisci un folle,
e sconsigliato, e non gradito amore,
alla ragione alta di stato, ai dritti
sacrosanti del sangue...
Emone   Oh! di quai dritti
favelli tu? Tutto sei re: tuo figlio
non puoi tu amare: a tirannia sostegno
cerchi, non altro. Io, di te nato, deggio
dritto alcuno di sangue aver per sacro?
A me tu norma, in crudeltá maestro
tu sol mi sei; te seguo; ove mi sforzi,
avanzerotti; io ’l giuro. — Havvi di stato
ragion, che imprenda iniquitade aperta,
qual tu disegni? Bada; amor, che mostri
a me cosí, ch’io a te cosí nol renda...
Delitti, il primo costa; al primo, mille
ne tengon dietro, e crescon sempre; — e il sai.
Antig. Io t’odio giá, s’oltre prosiegui. Ah! pria
d’essermi amante, eri a Creonte figlio:
forte, infrangibil, sacro, e il primo sempre
d’ogni legame. Pensa, Emon, deh! pensa,
che di un tal nodo io vittima pur cado.