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210 antigone
Che nel periglio la sorella io lasci?

Invan lo speri. A me potea il perdono
giovar, dov’ella a parte pur ne entrasse;
ma in ceppi sta? pena crudel fors’anco
a lei si appresta? io voglio ceppi; io voglio
più cruda ancor la pena...
Creon.   In Tebe, io voglio;
non altri; e al mio voler cede ciascuno. —
Mia legge hai rotta; e sí pur io ti assolvo:
funereo rogo incendere al marito
volevi; e il festi: il cener suo portarti
in Argo; ed io tel dono. — Or, che più brami?
che ardisci più? Dell’oprar mio vuoi conto
da me, tu?
Argia   Prego; almen grazia concedi,
ch’io la rivegga ancora.
Creon.   In lei novello
ardir cercar, che in te non hai, vuoi forse? —
Di Tebe uscir, tosto che annotti, dei:
Irne libera in Argo ove non vogli,
a forza andrai.
Argia   Più d’ogni morte è duro
il tuo perdon: morte, ch’a ogni altri dai,
perché a me solo nieghi? Orror, che t’abbi
di sparger sangue, già non ti rattiene.
D’Antigone son io meno innocente,
ch’io pur non merti il tuo furore?...
Creon.   O pena
reputa, o grazia, il tuo patir, nol curo;
purché tu sgombri. — Guardie, a voi l’affido:
su l’imbrunire, alla Emolóida porta
scenda, e al confin d’Argo si tragga: ov’ella
andar negasse, a forza si trascini. —
Torni intanto al suo carcere.
Argia   Mi ascolta...
Abbi pietade...
Creon.   Esci. —