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atto quinto 213
Oh me felice! oh dolce incontro! — Ahi vista!

Carche hai le man di ferro?...
Antig.   Ove sei tratta?
Deh! tosto dimmi.
Argia   A forza in Argo, al padre.
Antig. Respiro.
Argia   A vil tanto mi tien Creonte,
che me vuol salva: ma, di te...
Antig.   — Se in voi,
guardie, pur l’ombra è di pietá, concessi
brevi momenti al favellar ne sieno. —
Vieni, sorella, abbracciami; al mio petto
che non ti posso io stringere? d’infami
aspre ritorte orribilmente avvinta,
m’è tolto... Ah! vieni, e al tuo petto me stringi.
Ma che veggo? qual pegno al sen con tanta
gelosa cura serri? un’urna?... Oh cielo!
Cener del mio fratello, amato pegno,
prezioso e funesto;... ah! tu sei desso. —
Quell’urna sacra alle mie labbra accosta. —
Delle calde mie lagrime bagnarti
concesso m’è, pria di morire!... Io tanto
non sperava, o fratello;... ecco l’estremo
mio pianto; a te ben io il dovea. — O Argía,
gran dono è questo: assai ti fu benigno
Creonte in ciò: paga esser dei. Deh! torna
in Argo ratta; al desolato padre
reca quest’urna... Ah! vivi; al figlio vivi,
e a lacrimar sovr’essa; e, fra... i tuoi... pianti...
anco rimembra... Antigone...
Argia   Mi strappi
il cor... Mie voci... tronche... dai... sospiri...
Ch’io viva,... mentre... a morte?...
Antig.   A orribil morte
io vado. Il campo, ove la scorsa notte
pietose fummo alla grand’opra, or debbe