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atto secondo 287
ma non sempre i veraci a re si svela,

qualor n’è offeso il suo superbo orgoglio. —
Io dal timor scevra non son; ma in bando
posta del tutto dal mio cor la speme
non è perciò. Ti chieggo sol per ora,
non mel negare, Egisto, un dí ti chieggio
di tempo, un dí. Finor credea il periglio
lontano, e dubbio; indi al rimedio scarsa
mi trovo. Lascia, che opportuno io tragga
dell’evento il consiglio. I moti, il volto
esplorerò del re. Tu forse in Argo
starti potresti ignoto...
Egisto   In Argo, ignoto,
io di Tieste figlio?
Cliten.   Un giorno almeno,
sperare il voglio; ed a me basta un giorno,
perch’io scelga un partito. Abbiti intanto
intera la mia fe: sappi, che pria
ferma son di seguir d’Elena i passi,
che abbandonarti mai...
Egisto   Sappi, ch’io voglio
perir pria mille volte, che il tuo nome
contaminar io mai. Del mio non parlo,
che ingiusto fato a eterna infamia il danna.
Deh, potess’io saper, ch’altro che vita
non perderei se in Argo io rimanessi!
Ma, di Tieste io figlio, insulti e scherni
d’Atride in corte aspetto. E che sarebbe,
se di te poscia ei mi sapesse amante?
È ver, ne avrei la desíata morte;
quanto infame, chi ’l sa? Sariati forza
infra strazj vedermi; e in un dovresti
da quell’orgoglio insultatore udirti
acerbamente rampognar; quand’egli
piú non facesse. — A paventar m’insegna
il solo amor; tremo per te. Tu dei