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308 agamennone
né ragion ode, altra che l’armi altrui.

Cliten. Se affrontar no, deluder puossi; e giova
tentarlo. Il nuovo sole al partir tuo
egli ha prefisso; e il nuovo sol vedrammi
al tuo partir compagna.
Egisto   Oh ciel! che parli?
Tremar mi fai. Quanto il tuo amor, mi è cara
tanto, e piú, la tua fama... Ah! no; nol deggio
soffrir, né il vo’: giorno verrebbe poscia,
verrebbe sí, tardo, ma fero il giorno,
in cui cagion della tua infamia Egisto
udrei nomare, io, da te stessa. Il bando
mi fia men duro, ed il morir, (ver cui,
lungi appena da te, corro a gran passi)
che udir, misero me! mai dal tuo labro
cotal rampogna.
Cliten.   A me cagion di vita
tu solo sei; ch’io mai cagion ti nomi
della mia infamia? tu, che in sen lo stile
m’immergi, ov’abbi il cor di abbandonarmi...
Egisto Lo stile in sen t’immergo io crudo, ov’io
meco ti tragga. Oimè! s’anco pur fatto
ti venisse il fuggir, chi mai sottrarci
potria d’Atride alla terribil ira?
Qual havvi asil contra il suo braccio? quale
schermo? Rapita Elena fu: la trasse
figlio di re possente entro al suo regno;
ma al rapitor che valse aver baldanza,
ed armi, e mura, e torri? a viva forza,
dentro la reggia sua, su i paterni occhi,
ai sacri altari innanzi, infra le grida,
fra i pianti e il sangue e il minacciar de’ suoi,
non gli fu tolto e preda, e regno, e vita?
D’ogni soccorso io privo, esul, ramingo,
che far potrei? Tu il vedi, il tuo disegno,
vano è per se. D’ignominiosa fuga