Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. I, 1946 – BEIC 1727075.djvu/343

Da Wikisource.

atto primo 337
ch’ogni delitto aduna, il furor suo

non fia pago in me solo. Omai mi stringe,
piú che di me, di te pensiero. Udisti
le fatidiche voci, ed i tremendi
oracoli, che Oreste un dí fatale
vaticinaro ai genitori suoi?
Ciò spetta a te, misera madre; io deggio,
ove il pur possa, accelerar sua morte;
tu soffrirlo, e tacerti.
Cliten.   Oimè!... il mio sangue...
Egisto Non è tuo sangue Oreste: impuro avanzo
è del sangue d’Atréo: sangue, che nasce
ad ogni empio delitto. Il padre hai visto,
mosso da iniqua ambizíon, la figlia
svenarti sull’altar: d’Atride figlio,
l’orme paterne ricalcando Oreste,
ucciderá la madre. Oh cieca troppo,
troppo pietosa madre! Il figlio in atto
giá di ferirti sta: miralo; trema...
Cliten. E in questo petto a vendicare il padre
lascia ch’ei venga. Altro maggior delitto,
se maggior v’ha, forse espiar de’ il mio.
Ma, qual destin che a me sovrasti, Egisto,
ten prego, deh! per lo versato sangue
d’Agamennón, d’insidiare Oreste
cessa: da noi lontano, esule ei viva;
ma viva. Oreste il piè volgere ad Argo
non ardirebbe; e s’ei venisse, io scudo
col mio petto ti fora... Ma, s’ei viene,
il ciel vel tragge; e contro il ciel chi vale?
Qual dubbio allor? vittima chiesta io sono.
Egisto Per or di pianger cessa. Oreste è in vita
e speme ho poca, che in mie mani ei caggia.
Ma, se il dí vien, che a compier pure io basti
necessitá, che invan delitto nomi,
quel dí, se il vuoi, ripiglierai tu il pianto.


 V. Alfieri, Tragedie - I. 22