piú con man non ti posso, abbiti questo
palesator dell’esser mio.
Pilade Deh! cela
quel ferro. Oh cielo!
Oreste Egisto, il pugnal vedi,
ch’io, per svenarti, nascoso portava?
E tu il ravvisi, o donna? È questo il ferro,
che tu con mano empia tremante in petto
piantasti al padre mio.
Cliten. La voce, gli atti,
l’ira d’Atride è questa. Ah! tu sei desso.
Se non vuoi ch’io ti abbracci, in cor mi vibra
quel ferro tu; del padre in me vendetta
miglior farai. Giá, finch’io vivo, forza
non è che mai dal fianco tuo mi svelga.
O in tua difesa, o per tua mano io voglio
morire. Oh figlio!... Ancor son madre: e t’amo...
deh, fra mie braccia!...
Egisto Scostati. Che fai?...
A un figlio parricida?... Olá: di mano,
guardie, il ferro...
Oreste Il mio ferro a te, cui poscia
nomerò madre, cedo: eccolo; il prendi:
trattar tu il sai; d’Egisto in cor lo immergi.
Lascia ch’io mora; a me non cal, pur ch’abbia
vendetta il padre: di materno amore
niun’altra prova io da te voglio: or via,
svenalo tosto. Oh! che vegg’io? tu tremi?
tu impallidisci? tu piangi? ti cade
di mano il ferro? Ami tu Egisto? l’ami;
e sei madre d’Oreste? Oh rabbia! Vanne,
ch’io mai piú non ti vegga.
Cliten. Oimè!... mi sento...
morire...
Egisto È questo1, è questo (e a me sol spetta)
- ↑ Raccogliendo il pugnale caduto appiè di Clitennestra.