Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. I, 1946 – BEIC 1727075.djvu/46

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40 risposta dell’autore


letto in etá giovanissima, male, presto, senza riflettere, e non mi sognando mai di scrivere, quando che fosse, tragedie.

Tutta questa filastrocca su me le ho fatte ingojare, signor Ranieri stimatissimo, non per altro, che per dirle sinceramente la veritá, e per assegnarle nello stesso tempo ragione e schiarimento di quanto ella accenna della differenza tra la mia maniera, e le altre antiche o moderne. Pur troppo è vero, che l’essere io stato privo di questi soccorsi possenti, mi avrá privato d’infinite bellezze che avrei potuto inserire nelle mie tragedie; ma pure ciò mi avrá tolto forse ad un tempo ogni aspetto d’imitatore, che anche senza volerlo si prende per lo piú da chi è molto pieno dell’altrui.

Incontrandomi poi nel suo scritto al luogo, dove ella con sí vivo pennello mi dipinge in cinque quadri i cinque atti della tragedia d’Ifigenia, non le dirò altro, se non che io, assorto ora tutto intero tra le puerili e gelide correzioni della mia stampa, occupato soltanto d’inezie grammaticali, di collocazioni di parole, e simili cose, che almeno addormentano, se pur non ammazzano l’ingegno; io, dico, sepolto da piú mesi in tal feccia, mi sentiva pure sí vivamente riscuotere a quella lettura; con tanta evidenza ella mi ha posto innanzi agli occhi quell’armata, quell’Ifigenia, quel Calcante, quell’Achille (greco veramente, e non gallo), e tutto il rimanente di quell’azione, che avrei potuto d’un getto scriverne in quel giorno stesso la tragedia intera; in prosa cattiva al certo, ma calda: ed ancora non ne ho deposto il pensiero; benché oramai piú senno sia per me di starmene dintorno alle fatte, che di farne delle nuove. Ella propone quella descrizione per modello, con molta ragione, ad un pittore poeta; ed in proporla, ben ampia prova dá ella di essere poeta-pittore.

Venendo ai luoghi poi, dove ella entra in materia sulle mie quattro tragedie, e riassumendoli tutti, circa alle lodi ch’ella mi dá, ringrazierò, e le riceverò, perché ella non ha lodato senza assegnarne il perché; ed il suo perché è profondo, sentito, ragionato, esemplificato, e tale in somma da far forza; fintanto almeno che altri non venga, e con lumi eguali, o maggiori de’ suoi, non ci faccia entrambi ricredere. Amico io sempre del vero piú che di me stesso, colla medesima ingenuitá ch’io accetto le sue lodi e ne la ringrazio, accetterò allora, e ringrazierò di quella censura. Quanto poi alle cose che a lei non piacciono, e non crede star bene nelle suddette tragedie, io risponderò, non per dirle che stian bene cosí, ma per dirle per qual ragione stiano cosí: e giacché pure ho io meritata