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ATTO QUARTO

SCENA PRIMA

Carlo.

Tenebre, o voi del chiaro dí piú assai

convenienti a questa orribil reggia,
quanto mi aggrada il tornar vostro! In tregua
non ch’io per voi ponga il mio duol; ma tanti
vili ed iniqui aspetti almen non veggio. —
Quí favellarmi d’Isabella in nome
vuol la sua fida Elvira: or, che dirammi?...
Oh qual silenzio!... Infra i rimorsi adunque,
fra le torbide cure, e i rei sospetti,
placido scende ad ingombrar le ciglia
de’ traditori e de’ tiranni il sonno?
Quel, che ognor sfugge l’innocente oppresso? —
Ma, duro a me non è il vegliare: io stommi
co’ miei pensieri, e colla immagin cara
d’ogni beltá, d’ogni virtú: mi è grato
quí ritornar, dov’io la vidi, e intesi
parole (oimè!) che vita a un tempo e morte
m’erano. Ah! sí; da quel fatale istante
meno alquanto infelice esser mi avviso,
ma piú reo ch’io non era... Or, donde nasce
in me il timor d’orror frammisto? è forse
al delitto il timor dovuta pena?...
Pena? ma qual commisi io mai delitto?