Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. II, 1946 – BEIC 1727862.djvu/176

Da Wikisource.
170 merope
ottimo re. Tu dunque ai tempi adatta

te stessa omai: ben lo puoi far tu vinta,
s’io vincitor nol sdegno. Orribil vita
tu in Messene strascini; e mai peggiore
trarla non puoi: per te far tutto io posso:
tu in guiderdon, se perdonarmi mostri,
puoi, tel confesso, or piú gradito forse
far mio giogo ai Messenj.
Mer.   Ai buoni farti
gradito? e chi il potrebbe? Altrui gradito,
tu, che a te stesso obbrobríoso sei?
Troppo il sai tu, quant’è abborrito il tuo
giogo: né gioja, altra che questa, or tempra
il mio dolore. — Ov’io me voglia infame
scherno, me vil, non che ai Messenj, al mondo,
e a me stessa, ch’è peggio, far per sempre;
di sposa allor man ti darò. — Se traggi
in me argomento di soffribil doglia
dal viver mio; d’error trarti ben tosto
spero, che poco al mio vivere avanza.


SCENA TERZA

Polifonte.

— Accorta invan; sei madre: e verrá giorno

che tradirai tu del tuo cor l’arcano,
tu stessa. — Ah sí! quel suo figliuol respira.
Ch’altro in vita la tiene? Eppur, ch’io ’l credo
spento, con lei finger mi giova. In piena
fidanza forse addormentar la madre
potrò, mentr’io pur sempre intento veglio...
Ma il vegliar, che mi valse? un sol messaggio
mai non mi accadde intercettar finora;
né scoprir mai qual egli s’abbia asilo;
se lungi ei sia, se presso: onde pensiero