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atto secondo 175
vittima quí d’involontario errore,

che posso io dirti, o re? qual vuoi piú pena
pronto a soffrir son io. Forte m’incresce;
ma piú, se in colpa io mi sentissi. Ignuda
parla per me la mia sola innocenza:
avi non vanto, oro non ho; sembiante
ho di malvagio: e il sono, ah! il son, d’avervi,
miseri miei genitori cadenti,
disobbediti, abbandonati, posti
in angoscia mortale; anco anzi tempo
tratti forse a morire. — Ah! s’ei respira
quel mio buon padre; ei, che null’altro diemmi,
che incorrotti costumi; ei, ch’alto esemplo
di onesta vita, e vivo specchio m’era;
or che dirá in udir, ch’io d’omicida
supplizio ebbi in Messene? Ah! tal pensiero
m’è piú che morte duro.
Polif.   Odi: convinto
di sparso sangue, il tuo dar tu dovresti
immantinente, il sai; ma pur, piú mite
a te mi fa il tuo dir semplice e franco.
Sospender vo’ per or, finch’io piú certi,
sí dell’ucciso, che di te, ritragga
indizj e lumi...


SCENA TERZA

Merope, Polifonte, Egisto.

Polif.   Merope?... Che fia?

Tu vieni a me? Cagion qual mai?...
Mer.   La nuova,
che or ora udii, mi guida. È ver, che ucciso,
fu dianzi un uomo, e che nell’onda ei poscia
dall’uccisor scagliato?...
Polif.   È ver, pur troppo: