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178 merope
meno assai. Temerario, ei fu che volle

senza ragione uccider me. Che valse,
ch’io il pur vincessi, se in piú infame guisa
io sto per perder la mia vita? E s’anco
non mi vien tolta, a cor gentil qual puossi
dar pena mai, che la vergogna agguagli?
Mer. Alto cor tu racchiudi in basso stato:
quasi il tuo dir fa forza... Eppur,... se a luce
l’ucciso, o il nome almeno...
Polif.   Or, poiché nuova
brama d’udir tai cose oggi ti prende;
poi ch’io mi avveggio, o Merope, che impone
freno al tuo favellar l’aspetto mio,
né so perché...
Mer.   Freno?... Che dici... Io teco
il lascio.
Polif.   No. Perché da lui piú sappi,
se piú v’avesse, io teco il lascio. A farti
arbitra e donna d’ogni cosa, il sai,
son presto, e il bramo; il sei tanto piú dunque
d’affar sí lieve. A te costui si aspetta;
di lui disponi a senno tuo. Sia questo
l’indizio primo, che da me non sdegni
ogni mio dono.
Mer.   E che?...
Polif.   Di ciò ti prego.
Principio fosse al tuo regnar quest’atto!


SCENA QUARTA

Merope, Egisto.

Egisto E men di lui saresti a me pietosa?

Mia giovinezza per me non ti parla?
Puro non vedi in sul mio volto il cuore?
Non entri a parte del mortale affanno,