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254 maria stuarda
e un benefizio, quanto è grave incarco,

se da chi far nol sappia ei si riceve.
Lamor. Uom non son io del volgo: odimi Arrigo.
Grazia in corte non cerco: amor di pace
parlar mi fa. Tutti ammendare ancora
gli error tuoi scorsi, e a sentier dritto puoi
teco tornar tua traviata donna;
puoi far tuo popol lieto; i figli eletti,
non del terribil Dio d’ira e di sangue,
(cui Roma pinge e rappresenta al vivo)
ma del Dio di pietade i veri figli,
che oppressi son, puoi sollevarli; e impura
nebbia sgombrar, che pestilente sorge
dal servo Tebro, ove ogni inganno ha seggio.
Arrigo E che? vuoi tu, che in disputar di vani
riti e di vane opiníoni io spenda
il tempo, allor che del mio grado io debbo
contender?...
Lamor.   Vane osi appellar tai cose?
Pur mille volte e mille han dato e tolto
e regno, e vita. In cor se Roma abborri,
perché tacerlo? Alto il vessillo spiega;
sostegni avrai quanti quí abborron Roma.
Arrigo Di civil sangue io non mi pasco: altrove
pace trovar, ch’io quí non ho...
Lamor.   Che speri?
Per la patria vedere arder da lungi,
pace ne avrai? Fuggirtene, e la fiamma
destar di civil guerra, ei fia tutt’uno.
Io non ti spingo all’armi; io no, ministro
non son di sangue. A prevenir piú atroci
scandali, a trar d’oppressíon tuoi fidi,
pria che sforzati a ribellarsi sieno,
a null’altro, ti esorto. Usar la forza,
tu non dei; ma vietare altrui la forza.
Maria, che bevve a inesauribil fonte