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atto terzo 267
Nol niego; avversa Elisabetta avesti:

ma si cangian coi tempi anco i consigli.
Vide appena di voi nascer l’erede
del suo non men, che del materno regno,
ch’ella, appieno placata, ogni sua mira
rivolse in lui, quasi a sua prole; e schiva
quindi ognor piú di sottoporsi ell’era
al maritale giogo. Udendo poscia,
che da Maria tenuto eri in non cale;
che i non schiavi di Roma erano oppressi,
e che col latte il regio pargoletto
superstiziosi error bevendo andava,
forte glien dolse. Or quindi ella m’impone,
che se Maria ver te modi non cangia,
io mi volga a te solo; e mezzi io t’offra,
(di sangue no, che al par di te lo abborre)
ma tali, onde tu stesso al chiaror prisco
t’abbi a tornare. — In un, libero farti;
la mia sovrana compiacere; il figlio
piú in alto porre, ed in piú stabil sorte;
trar d’inganno Maria; tuoi rei nemici
annichilar: ciò tutto, ove tu il vogli,
tosto il potrai.
Arrigo   Che parli?
Orm.   Il ver: tu solo
puoi far ciò ch’altri né tentar pur puote. —
Il regio erede, il tuo figliuol fia ’l mezzo
di tua grandezza, e in un di pace...
Arrigo   Or, come?...
Orm. Servo ei s’educa a Roma in queste soglie;
ei, che seder sovra il britanno trono
pur debbe un dí. Ciò di mal occhio han visto
Elisabetta, e il regno suo: recenti
son nella patria mia le piaghe ancora,
onde, instigata dall’ispan Filippo,
altra Maria lo afflisse. Odio profondo,