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atto terzo 325
allenterei sconsideratamente?

Infiammate parole a te pur dianzi
non mossi a caso; e a caso non mi udisti
vie piú inaspir co’ miei pungenti detti
contro di me i tiranni. A lungo io tacqui;
fin che giovò; ma l’imprudente altero
mio dir, che loro a ingiuríarmi ha spinto,
prudenza ell’era. Ai vili miei conservi
addotto invan comuni offese avrei;
sol le private, infra corrotti schiavi,
dritto all’offender danno. A mia vendetta
compagni io trovo, se di me sol parlo;
se della patria parlo, un sol non trovo:
quindi, (ahi silenzio obbrobríoso e duro,
ma necessario pure!) io non mi attento
nomarla mai. Ma, a te, che non sei volgo,
poss’io tacerla? Ah! no. — Metá dell’opra
sta in trucidare i due tiranni: incerta,
e maggior l’altra, nel rifar possente,
libera, intera, e di virtú capace
la oppressa cittá nostra. Or, ti par questa
alta congiura? Io ne son capo, io solo;
n’è parte ei solo; e tu, se il vuoi. Gran mezzi
abbiam, tu il vedi; e ancor piú ardir che mezzi:
sublime il fin, degno è di noi. Tu, padre,
di cotant’opra or tu minor saresti?
Dammi, dammi il tuo assenso; altro non manca.
Giá in alto stan gli ignudi ferri: accenna,
accenna sol: giá nei devoti petti
piombar li vedi, e a libertá dar via.
Gugl. ... Grande hai l’animo tu — Nobil vergogna,
maraviglia, furor, vendetta, speme,
tutto hai ridesto in me. Canuto senno,
viril virtude, giovenil bollore,
e che non hai? Tu a me maestro, e duce
e Nume or sei. — L’onor di tanta impresa