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40 rosmunda
alla tua donna tu, troppo anco fora

per farti a me esecrabile. Non curo
morte: che parlo? ad Alarico andarne
vittima certa io vorrei pria; quí schiava
al rio livor della crudel madrigna
in preda sempre anzi starei, che averti
né difensor mio pure.
Ildov.   Ed io vo’ dirti,
che a me non festi oltraggio mai piú atroce,
che in voler farmi eguale a te. Non m’hai
giá offeso tu con questo amor tuo stolto.
Sei tu rival ch’io tema, ove l’amore
d’una Rosmunda non contendi? Ed una,
non piú, ve n’ha, ben tua. — Né piú mi offende
in te tua fella ingratitudin: vero
re ti conosco a ciò. — Per qual piú vile
man tu vorrai, fammi su palco infame
scemo del capo rimaner; ma cessa
di chiamarmi a tenzone; in ciò soltanto
mi offendi. Ho forse io di notturno sangue
macchiato il brando mio, sí che al tuo brando
or misurarlo io possa?
Almac.   È troppo: e basti.
Pugnar non vuoi, che della lingua? avermi
rival non vuoi? Re ti sarò. — Soldati,
si disarmi, s’arresti.
Romil.   Ah! no...
Ildov.   Vil ferro,
che un tiranno salvasti, a terra vanne.
Inerme io fommi; altri non mai...
Romil.   Fra lacci
il duce vostro? Ahi vili!... Or tu m’ascolta;
sospendi... Io forse... Oh stato orribil!... M’odi...
Ildov. Che fai? chi preghi? — Io t’amo; al par tu m’ami:
ch’havvi a temer da noi?
Almac.   Su via, si tragga