giuro, cui sparso ha tosto all’aure il vento.
Fra quest’aquile altere ancor regina,
figlia ancora d’Asdrubale, secura
in me medesma io quí non meno stommi,
che se in Cartago, o se in mia reggia io stessi. —
Ma, tu non parli?... disperati sguardi
pregni di pianto affiggi al suolo?... Ah! credi,
che il mio dolor si agguaglia al tuo...
Massin. Diverso
n’è assai l’effetto: io, di coraggio privo,
men che donna rimango; e tu...
Sofon. Diverso
lo stato nostro è assai: ma, non l’è il core...
Credilo a me: bench’io non pianga, io sento
strapparmi il cor: donna son io; né pompa
d’alma viril fo teco: ma non resta
partito a me nessuno, altro che morte.
S’io men ti amassi, entro a Cartagin forse
ti avria seguito, e di mia fama a costo
avrei coll’armi tue vendetta breve
di Roma avuta: ma per me non volli
porti a inutile rischio. È omai maturo
il cader di Cartagine: discorde
cittá corrotta, ah! mal resister puote
a Roma intera ed una. Avrei pur troppi
giorni vissuto, se la patria mia
strugger vedessi; e te con essa andarne,
per mia cagione, in precipizio. A Roma
fido serbarti, e al gran Scipion (qual dei)
amico grato; in gran possanza alzarti;
a tua vera virtú dar largo il campo;
ciò tutto or puote, e sol mia morte il puote.
Piú che il mio ben, mi sforza il tuo...
Massin. Mi credi
dunque sí vil, ch’io a te sorviver osi?
Sofon. Maggior di me ti voglio: esserlo quindi