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atto quinto 157
alle mie tende. — È questo dunque, è questo

il don primier, l’ultimo pegno a un tempo
dell’immenso mio amor, che a viva forza
tu vuoi da me?... Pur troppo (io ’l veggo) in vita
tu non rimani, a nessun patto; e a lunga
morte stentata lasciarti non posso. —
Non piangerò,... poiché non piangi: a ciglio
asciutto, a te la feral tazza io stesso,
ecco, appresento... A patto sol, che in fondo
mia parte io n’abbia...
Sofon.   E tu l’avrai, qual merti.
Or dell’alto amor mio sei degno al fine.
Donami dunque il nappo.
Massin.   Oh ciel! mi trema
la mano, il core...
Sofon.   A che indugiare? è forza,
pria che giunga Scipione...
Massin.   Eccoti il nappo.
Ahi! che feci? me misero!...
Sofon.   Consunto
ho il licor tutto: e giá Scipion quí riede.
Massin. Cosi m’inganni? Un brando ancor mi avanza;
e seguirotti1.


SCENA SESTA

Scipione, Massinissa, Sofonisba.

Scip.   Ah! no; fin ch’io respiro...

Massin. Ahi traditor! dentro al tuo petto io dunque
della uccisa mia donna avrò vendetta.


  1. Sta per trafiggersi; Scipione robustamente afferrandogli il braccio, lo tien costretto.