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sarò perciò di amarla. Oh! lieta almeno

del mio pianger foss’ella!... A me fia dolce
anco il morir, pur ch’ella sia felice.
Ciniro Peréo, chi udirti senza pianger puote?...
Cor, né il piú fido, né in piú fiamma acceso
del tuo, non v’ha. Deh! come a me l’apristi,
cosí il dischiudi anco alla figlia: udirti,
e non ti aprire anch’ella il cor, son certo
che nol potrá. Non la cred’io pentita;
(chi il fora, conoscendoti?) ma trarle
potrai dal petto la cagion tu forse
del nascosto suo male. — Ecco, ella viene;
ch’io appellarla giá fea. Con lei lasciarti
voglio; ritegno al favellar d’amanti
fia sempre un padre. Or, prence, appien le svela
l’alto tuo cor che ad ogni cor fa forza.


SCENA SECONDA

Mirra, Pereo.

Mirra Ei con Peréo mi lascia?... Oh rio cimento!

Vieppiú il cor mi si squarcia...
Pereo   È sorto, o Mirra,
quel giorno al fin, quel che per sempre appieno
far mi dovria felice, ove tu il fossi.
Di nuzíal corona ornata il crine,
lieto ammanto pomposo, è ver, ti veggo:
ma il tuo volto, e i tuoi sguardi, e i passi, e ogni atto,
mestizia è in te. Chi della propria vita
t’ama piú assai, non può mirarti, o Mirra,
a nodo indissolubile venirne
in tale aspetto. È questa l’ora, è questa,
che a te non lice piú ingannar te stessa,
né altrui. Del tuo martír (qual ch’ella sia)
o la cagion dei dirmi, o almen dei dirmi,