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atto secondo 233
Dispregierei me stessa, ove pur darmi

volessi a te, non ti apprezzando: e come
non apprezzarti?... Ah! dir ciò ch’io non penso,
nol sa il mio labro: e pur tel dice, e giura,
ch’esser mai d’altri non vogl’io, che tua.
Che ti poss’io piú dire?
Pereo   ... Ah! ciò che dirmi
potresti, e darmi vita, io non l’ardisco
chiedere a te. Fatal domanda! il peggio
fia l’averne certezza. — Or, d’esser mia
non sdegni adunque? e non ten penti? e nullo
indugio omai?...
Mirra   No; questo è il giorno; ed oggi
sarò tua sposa. — Ma, doman le vele
daremo ai venti, e lascerem per sempre
dietro noi queste rive.
Pereo   Oh! che favelli?
Come or sí tosto da te stessa affatto
discordi? Il patrio suol, gli almi parenti,
tanto t’incresce abbandonare; e vuoi
ratta cosí, per sempre?...
Mirra   Il vo’;... per sempre
abbandonarli;... e morir... di dolore...
Pereo Che ascolto? Il duol ti ha pur tradita;... e muovi
sguardi e parole disperate. Ah! giuro,
ch’io non sarò del tuo morir stromento;
o, mai; del mio bensí...
Mirra   Dolore immenso
mi tragge, è ver... Ma no, nol creder. — Ferma
sto nel proposto mio. — Mentre ho ben l’alma
al dolor preparata, assai men crudo
mi fia il partir: sollievo in te...
Pereo   No, Mirra:
io la cagione, io ’l son (benché innocente)
della orribil tempesta, onde agitato,
lacerato è il tuo core. — Omai vietarti