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atto quinto 263
in mezzo al dolor tuo traluce l’onta;

rea ti senti tu stessa. Il tuo piú grave
fallo, è il tacer col padre tuo: lo sdegno
quindi appien tu merti; e che in me cessi
l’immenso amor, che all’unica mia figlia
io giá portai. — Ma che? tu piangi? e tremi?
e inorridisci?... e taci? — A te fia dunque
l’ira del padre insopportabil pena?
Mirra Ah!... peggior... d’ogni morte...
Ciniro   Odimi. — Al mondo
favola hai fatto i genitori tuoi,
quanto te stessa, coll’infausto fine
che alle da te volute nozze hai posto.
Giá l’oltraggio tuo crudo i giorni ha tronchi
del misero Peréo...
Mirra   Che ascolto? Oh cielo!
Ciniro Peréo, sí, muore; e tu lo uccidi. Uscito
del nostro aspetto appena, alle sue stanze
solo, e sepolto in un muto dolore,
ei si ritrae: null’uomo osa seguirlo.
Io, (lasso me!) tardo pur troppo io giungo...
Dal proprio acciaro trafitto, ei giacea
entro un mare di sangue: a me gli sguardi
pregni di pianto e di morte inalzava;...
e, fra i singulti estremi, dal suo labro
usciva ancor di Mirra il nome. — Ingrata...
Mirra Deh! piú non dirmi... Io sola, io degna sono,
di morte... E ancor respiro?...
Ciniro   Il duolo orrendo
dell’infelice padre di Peréo,
io che son padre ed infelice, io solo
sentir lo posso: io ’l so, quanto esser debba
lo sdegno in lui, l’odio, il desio di farne
aspra su noi giusta vendetta. — Io quindi,
non dal terror dell’armi sue, ma mosso
dalla pietá del giovinetto estinto,