Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. III, 1947 – BEIC 1728689.djvu/374

Da Wikisource.
368 parere dell’autore

piú affatto, l’ho presa a rileggere, sempre ho tornato a provare quella commozione stessa che avea provata nel concepirla e distenderla. Ma forse in questo, io come autore mi accieco: non credo tuttavia d’esser io tenero piú che altri, né oltre il dovere. Posto adunque, che Mirra in questa tragedia appaja, come dee apparire, piú innocente assai che colpevole; poiché quel che in essa è di reo non è per cosí dir niente suo, in vece che tutta la virtù e forza per nascondere estirpare e incrudelire contra la sua illecita passione anco a costo della propria vita, non può negarsi che ciò sia tutto ben suo; ciò posto, io dico, che non so trovare un personaggio piú tragico di questo per noi, né piú continuamente atto a rattemprare sempre con la pietá l’orror ch’ella inspira.

Quelli che biasimar vorranno questo soggetto, dovrebbero per un istante supporre, che io (mutati i nomi, il che m’era facilissimo a fare) avessi trattato il rimanente affatto com’è; e ammessa questa supposizione, dovrebbero rendere imparziale e fedel conto a se stessi, se veramente questa donzella, che non si chiamerebbe Mirra, verrebbe nel decorso della tragedia a sembrar loro piuttosto innamorata del padre, che di un fratello assente, o di un altro prossimo congiunto, o anche d’uno non congiunto, ma di amore però condannabile sotto altro aspetto. Da nessuna parola della tragedia, fino all’ultime del quint’atto, non potranno certamente trar prova, che questa donzella sia rea di amare piuttosto il padre, che di qualunque altro illecito amore; ed essendo ella rea in una tal guisa sempre dubbiosa, piú diffícilmente ancora si dimostrerá che ella debba riuscire agli spettatori colpevole, scandalosa, ed odiosa. Ma avendola io voluta chiamar Mirra, tutti sanno tal favola, e tutti ne sparleranno, e rabbrividire vorranno d’orrore giá prima di udirla.

Io, null’altro per l’autore domando, se non che si sospenda il giudizio fin dopo udite le parti; e ciò non è grazia, è mera giustizia. A parer mio, ogni piú severa madre, nel paese il piú costumato d’Europa, potrá condurre alla rappresentazione di questa tragedia le proprie donzelle, senza che i loro teneri petti ne ricevano alcuna sinistra impressione. Il che non sempre forse avverrá, se le caste vergini verranno condotte a molte altre tragedie, le quali pure si fondano sopra lecitissimi amori.

Ma, comunque ciò sia, io senza accorgermene ho fin quí riempito assai piú le parti d’autore, che non quelle di censore. Il censore nondimeno, ove egli voglia esser giusto, e cercare i lumi ed