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Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. III, 1947 – BEIC 1728689.djvu/75

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atto primo 69
vien dal rival, fia ch’a pietade ascriva

la mal concessa vita?
Agesis.   Al par che grande
era imprudente il dono: Agide stesso
tale il credea; ma innata è in quel gran core
ogni magnanim’opra. Agide eccelso
contaminar non volle col tuo sangue
la generosa ed inaudita impresa
di un re, che in piena libertá sua gente
restituir, spontaneo, si accinge.
Dal perdonarti io nol distolsi; e forse
tentato invan lo avrei: d’Agide madre,
mostrarmi io mai potea di cor minore
a quel di un tanto figlio? È ver; mi nacque
Agesiláo fratello; or di un tal nome
indegno egli è. Con libera eloquenza,
e con finte virtú suoi vizj veri
adombrando, ei deluse Agide, Sparta,
e me con essi...
Leon.   Ma, non me, giammai.
Agesis. Noto e simile ei t’era. — A tor per sempre
dei creditori e debitor, de’ ricchi
e de’ mendici, i non spartani nomi,
Agesiláo, piú ch’altri, Agide spinse.
Vistosi poi dal nostro esemplo astretto
di accomunar le sue ricchezze, ei vinto
dall’avarizia brutta, il sacro incarco
contaminando d’eforo, impediva
la sublime uguaglianza. Il popol quindi,
sconvolto e oppresso piú, dubbio, tremante
fra il servir non estinto e la sturbata
sua libertade rinascente appena,
te richiamava al seggio: e te stromento
degno ei sceglieva al rincalzare i molli
non cangiabili in lui guasti costumi.
Il popol stesso, avvinto in man ti dava