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76 agide
e filíale e conjugale amore,

altro non sai, magnanima, che farti
fida compagna a chi piú avverso ha il fato.
Se mai cara mi fosti, oggi il vederti
a me tornar, quando me lascian tutti,
certo piú assai mi ti fa cara. Io meno
dal tuo gran cor non mi aspettai; null’altro
temea, fuorch’ebro di sua lieta sorte
Leonida, non forse or ti vietasse
il ritornarne a me.
Agiz.   Tu ben temesti.
Tre giorni or son, ch’ei vincitore in Sparta
riposto ha il piè; tre giorni or son, ch’io seco
pugno per te. Né, per negar ch’ei fesse
a me l’assenso, era io perciò men ferma
di ritrovarti ad ogni costo. Ei stesso,
cangiato ai fine, or dianzi a te mi volle
messo inviar di pace: ei, per mia bocca,
piena or te l’offre; e supplica, e scongiura,
che tu, lasciato omai l’asilo, in opra
vogli con lui porre ogni mezzo, ond’abbia
Sparta una volta e intera pace e salda.
Agide Ei mi t’invia? sperare a me non lascia
nulla di lieto il suo cangiar sí ratto.
Ma, che dich’io? sperar, se in se non spera,
Agide può? ch’altro a temer mi resta,
quando è piú sempre la mia patria serva?
quando è piú sempre dal poter suo prisco,
dalle giá tante sue virtú lontana? —
Io spontaneo (tu il vedi) avea l’asilo
abbandonato giá: ragion tutt’altra
le astute brame or prevenir mi fea
di Leonida... Ah! sí: fia questo un giorno
grande a Sparta, ed a me; funesto forse
per te, se m’ami... O fida mia consorte,
dubitar non ne posso... Ma, se fede