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88 agide
d’Agide; e troppa, agl’invidi tuoi sguardi. —

Me tu abborrisci; adoro io Sparta: or odi
come al mio amor, e all’odio tuo, potresti
servire a un tempo. Io libertá, grandezza,
virtude impresi a ricondurre in Sparta,
col pareggiarne i cittadin fra loro.
Tu, coi piú rei, di opporviti, ma indarno,
mai non cessasti; e non, che vero e immenso
tu non vedessi in ciò il comun vantaggio;
non, che virtú co’ suoi divini raggi
via non s’aprisse entro il tuo chiuso petto,
senza pure infiammarlo: ma in tuo petto
l’amor dell’oro, e di soverchia ingiusta
possa, vincea d’assai l’util di Sparta,
di veritade il grido, e il folgorante
scintillar di virtú. Pubblica, e vera
Spartana voce dal tuo seggio allora
te rimovea, chiamandoti nemico
di Sparta: e tu la insopportabil taccia
né smentir pur tentavi. In bando poscia,
proscritto, errante (il sai) vilmente ucciso
stato saresti; io nol soffria: né il dico
per rinfacciartel ora; ma per darti
prova non dubbia, ch’io base posava
ai disegni alti miei l’alte spartane
opre bensí, non la rovina tua.
Leon. E in ciò pur, mal accorto, error non lieve
tu salvandomi festi.
Agide   E chiara ammenda
tu ne farai, me trucidando. I mezzi
sol ne impara da me. — Sparta piú inclina
a libertá, che a tirannia: per certo
tienlo, ancorché per ora imposto il freno
aspro di re tu le abbi. Un breve sdegno
dei piú contro all’infame Agesiláo,
or ti ha riposto in trono, e lui cacciato