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Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie postume, 1947 – BEIC 1726528.djvu/12

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6 antonio e cleopatra
fra i dubbj orror, sola smaniando, e in preda

ad un mortal dolor, che piú sperare
mi lice omai? tutto nel cuor m’addita,
che vinta son, che non si scampa a morte,
e a morte infame.
Ismene   Non è tempo ancora
di disperare appien del tuo destino.
Chi può saper, s’alle nemiche turbe
non avrá volto la fortuna il tergo;
ovver se Augusto, vincitor pietoso,
a te non renderá quanto ti diero
un dí, Cesare, e Antonio?
Cleop.   Il cor nutrirmi
potrò di speme, allor che ben distinti
ravviserò dal vincitore il vinto;
ma in fin che ondeggia infra i rivai la sorte,
trapasserò i miei dí mesti, e penosi
in vano pianto; e di dolor non solo
io piangerò, ma ancor di sdegno, e d’onta.
Ma Diomede s’appressa,... il cuor mi palpita.


SCENA SECONDA

Cleopatra, Ismene, Diomede.

Cleop. Fedel Diomede, apportator di vita,

o di morte mi sei?... che rintracciasti?
si compí il mio destin?... parla —
Diom.   Regina,
i cenni tuoi ad adempir n’andava,
quando scendendo alla marina in riva
vidi affollar l’insana plebe al porto;
confuse grida udii; s’eran di pianto,
di gioja, o di stupor, nulla indagando,
v’andai io stesso, e la cagion funesta
di tal romor, pur troppo a me fu nota.