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Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie postume, 1947 – BEIC 1726528.djvu/144

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138 alceste seconda
nel tuo petto ogni dubbio: ah, no; non ebbi

l’ardir, né il cor di assumermi col figlio
niun de’ tuoi dritti sacrosanti.
Adméto   Or, quali
detti fra voi?...
Feréo   Chiari a te fieno, in breve:
me, figlio amato, rivedrai quí tosto.


SCENA QUINTA

Adméto, Alceste.

Adméto Ma, che fia mai? ciascun di voi quí veggo

del risanar mio ratto starsi afflitto,
quanto del morir mio pur dianzi il fosse?
Alces. Adméto, ognor venerator profondo
degl’Iddii, te conobbi...
Adméto   E il son, piú sempre;
or che dal divo Apollo in don sí espresso
la vita io m’ebbi. Ah, fida sposa, allora
dov’eri tu? perché non t’ebbi al fianco,
in quell’istante sí gradito, e a un tempo
a me tremendo e sovruman pur tanto?
Allo sparir del sanator mio Nume,
forse l’aspetto tuo mi avria del tutto
francata in un la mente: al reo fantasma,
che mi apparia poi tosto, ah tu sottratto
forse mi avresti!
Alces.   Oh sposo! io non t’avrei
per certo, ahi no, racconsolato allora,
come or neppure io ’l posso.
Adméto   E sia che vuolsi;
cessi al fine il mortifero silenzio
di tutti voi. Saper dai labri io voglio,
ciò che cogli atti e col tacer funesto
mi si va rivelando. Unica donna,