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100 filippo
in te pietá, l’atro silenzio io rompo,

che il cor mi opprime. È ver pur troppo, il prence
(misero!) non è reo d’altro delitto,
che d’esser figlio di un orribil padre.
Isab. Raccapricciar mi fai.
Gomez   Di te non meno
inorridisco anch’io. Sai donde nasce
lo snaturato odio paterno? Il muove
vile invidia: in veder virtú verace
tanta nel figlio, la virtú mentita
del rio padre si adira: a se pur troppo
ei dissimile il vede; ed, empio, ei vuole
pria spento il figlio, che di se maggiore.
Isab. Oh non mai visto padre! Ma, piú iniquo
il consiglio che il re, perché condanna
un innocente a morte?
Gomez   E qual consiglio
si opporrebbe a un tal re? Lo accusa ei stesso:
falsa è l’accusa; ognun lo sa: ma ognuno,
per se tremante, tacendo l’afferma.
Ricade in noi di ria sentenza l’onta;
ministri vili al suo furor siam noi;
fremendo il siam; ma invan: chi lo negasse,
del suo furor cadria vittima tosto.
Isab. E fia ver ciò che ascolto?... Io di stupore
muta rimango... E non resta piú speme?
Ingiustamente ei perirá?
Gomez   Filippo,
nel simular, sovra ogni cosa, è dotto.
Dubbio parer vorrá da pria; gran mostra
fará di duolo e di pietá; fors’anco
indugierá pria di risolver: folle
chi ’l duolo in lui, chi la pietá credesse;
o che in quel cor, per indugiar di tempo,
l’ira profonda scemasse mai dramma.
Isab. Deh! se tu nei delitti al par di lui