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atto quarto 263
Siccio per me vel dica. Un’ora manca

a dar segno al macello.
Virg.a   Icilio!... Un’ora!...
Appio, pietá... L’amante... il padre...
Numit.   Spenti
due tali prodi ad un tuo cenno? E credi
te nel tuo seggio indi securo?...
Appio   E s’anco
meco tutto sossopra irne dovesse,
Virginio, Icilio, ricondotti a vita
foran perciò?
Virg.a   Tremar mi fai...
Numit.   ... Deh!... m’odi.
Né fia, che priego?...
Appio   Con un sol suo detto,
ella entrambi li salva.
Virg.a   ... Appio,... sospendi
per oggi il colpo;... io ti scongiuro. — Intanto
io deporrò di nozze ogni pensiero...
Icilio viva, e mio non sia; dal core
io tenterò la imagin sua strapparmi...
Mia speme, in lui posta tanti anni, or tutta
da lui torrò: forse... frattanto... il tempo...
Che posso io piú? Deh! viva Icilio: io cado
a’ piedi tuoi. — Ma, oimè! che fo?... che dico?
Te sempre odiar vieppiú farammi il tempo,
e vieppiú Icilio amare. — Io nulla temo;
romani siamo: ed il mio amante, e il padre,
vita serbar mai non vorrian, che prezzo
di lor viltade fora: a perder nulla,
lor trafitti, mi resta. In tempo un ferro
non mi darai tu, madre?
Numit.   O figlia,... vieni...
Numi v’ha in ciel dell’innocenza oppressa
vindici; in lor speriam: vieni...
Virg.a   Al mio fianco
deh! sii sostegno;... il mio piede vacilla....