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atto quinto 321
se piú veder te non dovea; ma almeno

innocente moriva: or, mal mio grado,
di nuovo giá spinta al delitto orrendo
son dal tuo aspetto... Oh ciel!... tutte m’invade
le fibre e l’ossa incognito un tremore...
e fia pur ver; null’altro a far ne resta?...
Ma chi svelava il nostro amor?
Egisto   Chi ardisce
di te parlar, se non Elettra, al padre?
Chi, se non ella, al re nomarti? Il ferro
t’immerge in sen l’empia tua figlia; e torre
ti vuol l’onor pria della vita.
Cliten.   E deggio
credere?... oimè...
Egisto   Credi al mio brando dunque,
se a me non credi. Almen, che in tempo io pera...
Cliten. Oh ciel! che fai? Riponi il brando. Io ’l voglio. —
Oh fera notte!... Ascolta... Atride in mente,
forse non ha...
Egisto   Che forse?... Atride offeso,
Atride re, nella superba mente
altro or non volge, che vendetta e sangue.
Certa è la morte mia, dubbia la tua:
ma, se a vita ei ti serba, a qual, tu il pensa.
E s’io fui visto entrar quí solo, e in ora
sí tarda... Oimè! che di terrore io fremo
per te. L’aurora in breve sorge a trarti
dal dubbio fero: io non l’attendo: ho fermo
di pria morir... — Per sempre... addio.
Cliten.   T’arresta...
No, non morrai.
Egisto   Non d’altra man, per certo,
che di mia mano: — o della tua, se il vuoi.
Deh! vibra il colpo tu; svenami; innanzi
al severo tuo giudice me traggi
semivivo, spirante: alta discolpa


V. Alfieri, Tragedie - I. 21