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atto terzo 87
Me sorger fai, me difensore dell’alta

tua maestade offesa: a me tu spiri
nel caldo petto un sovrumano ardire;
ardir pari alla causa. — O della terra
tu re, pel labbro mio ciò che a te dice
il Re dei re, pien di terrore, ascolta.
Il prence, quegli, ch’io tant’empio estimo,
che nomar figlio del mio re non l’oso;
il prence orridi spregj, onde non meno
che i ministri del cielo, il ciel si oltraggia,
dalla impura sua bocca ei mai non resta
di versar, mai. Le rie profane grida
perfino al tempio ardimentose innalza:
biasma il culto degli avi; applaude al nuovo;
e, s’egli regna un dí, vedremo a terra
i sacri altari, e calpestar nel limo
dal sacrilego piè quanto or d’incensi,
e di voti onoriam: vedrem... Che dico? —
Se tanto pur la fulminante spada
di Dio tardasse, io nol vedrò; vedrallo
chi pria morir non ardirá. Non io
vedrò strappare il sacro vel, che al volgo
adombra il ver, ch’ei non intende, e crede:
né il tribunal, che in terra raffigura
la giustizia del cielo, e a noi piú mite
la rende poscia, andar vedrò sossopra,
come ei giurava; il tribunal, che illesa
pura la fede, ad onta altrui, ci serba.
Sperda il ciel l’empio voto: invan lo speri
l’orrido inferno. — Al Re sovrano innalza,
Filippo, il guardo: onori, impero, vita,
tutto hai da lui; tutto ei può tor: se offeso
egli è, ti è figlio l’offensore? In lui,
in lui sta scritta la fatal sentenza:
leggila; e omai non la indugiar... Ritorce
le sue vendette in chi le sturba, il cielo.