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di vittorio alfieri 81


LXXIII [ciii].1

Qual sia, da quattordici mesi, la sua vita.

Or dal Tebro al Tamigi andarne errante,
Stolto! credendo addietro il duol restasse:
Or dal Tamigi al Tebro, a cui mi trasse
4Sol dell’alta2 mia donna il bel sembiante:
Or muover ratte, ed or tarde le piante;
Ora in voci alte, ora in tremanti e basse
Narrando irle mie’ guai, quasi ascoltasse
8Flebil parola di lontano amante:
Or temere, or sperare, e pianger sempre:
Da sette e sette lune, ecco in qual vita
11Convien che il mio cor misero si stempre.3
Per piú mio danno, ella è d’Italia uscita,
Or ch’io per lei vi torno; e in dure tempre4
14Ragion mi svolge5 d’onde Amor m’invita.


LXXIV [cv].6

Alla sua donna, che lo rimproverava di freddezza.

O di me vera unica donna,7 e puoi
Dar di freddo amator la indegna taccia


  1. Per intendere questo sonetto, composto tra Reggio e Modena il 22 giugno 1784, occorre sapere o ricordare che, tornando in Italia, l’A. seppe a Piacenza che la Contessa aveva ottenuto il 3 aprile, per l’autorevole intercessione di Gustavo III di Svezia, la separazione dal marito e che ella, libera finalmente di sé, aveva stabilito di andare in Isvizzera, alle acque di Baden, per rimettersi in salute. Nel giugno si avviò alla sua mèta, nel tempo stesso che l’A., dopo una fermata a Torino, per Piacenza, Modena e Pistoia, tornava a Siena. «Avrei potuto benissimo», scrive egli (Aut., IV, 13°), «mandar per la diritta in Toscana il mio legno e la mia gente, ed io a traverso per le poste a cavallo soletto l’avrei potuta presto raggiungere, e almen l’avrei vista. Desiderava, temeva, sperava, voleva, disvoleva: vicende tutte ben note ai pochi e veraci amatori; ma vinse pur finalmente il dovere e l’amore di essa e del di lei decoro, piú che di me. Onde bestemmiando e piangendo non mi scartai punto dalla strada mia».
  2. 4. Alta, nobile, fornita di ogni virtú.
  3. 11. Si stempre, si sfaccia, si consumi.
  4. 13. Tempre, guise, maniere.
  5. 14. Mi svolge, mi allontana da quel luogo ove mi inviterebbe l’Amore.
  6. Questo sonetto non ha nell’autografo né data né annotazioni di sorta, ma è molto facile congetturare che fu scritto pochi giorni dopo il precedente, allorché, cioè, l’A. ebbe ricevute lettere nelle quali la Contessa lo rimproverava della risoluzione presa. La quale è indubbiamente segno che l’anima del Poeta era, nonostante tutte le sue proteste, assai cambiato verso la Contessa; ché, altrimenti, non dalla ragione si sarebbe lasciato guidare, sí dal cuore e avrebbe viuto il desiderio di rivederla.
  7. 1. Donna, signora, padrona.
 Alfieri, Rime varie. 6