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di vittorio alfieri 281


IX [xxxvii].1

Ho visto già quel ch’è;
Tu sparli ognor di me,
Perch’io ti mandi... alla posterità...
Se a ciò basta un mio calcio; eccotel, va.
Ma nel nomare io te
Mai la mia penna non s’imbratterà.


X [xlii].2

Dai Galli in rima le tragedie fersi
Sol perché far non le potero in versi.


XI [xlvi].3

Forse alcun pregio aveano
Le mie tragedie allora,


    E di gran valor diè segno,
    Ch’ei non vinse, e non morí.
    E diceva il suo stendardo
    Per spiegar suo grande ardir:
    Questi è il fior d’ogni gagliardo;
    Qui vuol vincere, o morir.
    Poi di Senna ai lidi venne
    Stoltamente a dimostrar,
    Ch’è un volar senza le penne
    L’esser re senza regnar:
    Che il suo amico il Cristianissimo
    In soccorso alfin gli dà
    Un nodetto soavissimo,
    Che prigion per poco il fa.
    Quindi il resto di sua vita
    Di ben sempre in meglio andò.
    Alleanza non tradita
    Con la botte egli firmò.
    Fu la botte la sua stanza,
    Il suo trono, il suo piacer,
    Furo accidia ed ignoranza
    I suoi primi consiglier.
    Prese poi, già in là con gli anni,
    Giovin moglie, d’alto cor:
    Cui diè in dote i suoi malanni
    E il regale suo fetor.
    La rinchiuse, odiò, depresse:
    La seccò, batté: che piú?
    Ben due lustri ella ci resse,
    Poi fuggir costretta fu.
    Fu mal padre, e mal marito,
    E mal figlio, e mal fratel:
    Con la moglie e i servi ardito,
    Con chi ha petto un vero agnel;
    Duro e ingrato per natura,
    Senza amici altro che sé;
    Buon talvolta per paura;
    Chi dirà ch’ei non sia re?

  1. Questo epigramma contro un suo detrattore fu dall’A. lasciato nel ms. senza data, ma è probabilmente del 1789.
  2. Le seg. parole dell’Autobiografia (III, 4°) servono ad illustrare questo breve epigramma, che è nel ms. senza data:... «l’orecchio mio, ancorché io non volessi essere Italiano, pur mi serviva ottimamente malgrado mio, e mi avvertiva della noiosa e insulsa uniformità di quel verseggiare a pariglia a pariglia di rime, e i versi a mezzi a mezzi, con tanta trivialità di modi e sí spiacevole nasalità di suoni...». Questi versi, che davano tanto ai nervi all’A., sono gli alessandrini, usati da tutti gli scrittori di tragedie francesi, e che furono in italiano detti martelliani, da P. I. Martelli (1665-1726).
  3. «1 maggio 1790... Nel ms. 13 leggesi la seguente indicazione: In risposta a un’ode del Parini alla Marchesa Castiglioni, che comincia: «Queste che il