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VII |
ma perchè incolpare d’oscurità, d’asprezza e di monotonía uno scrittore che ne fu immune nella buccolica, nella lirica, nella scherzevole e nella tragica poesía? Sono però tali e tante le insigni bellezze delle Visioni, spezialmente per la sublimità delle immagini, e per la verità e grandezza delle descrizioni dall’ultima natura fino a Dio, che ne sembra tempo perduto il rammentarle, per non incontrare la taccia data a quel pedante, che segnando le bellezze d’Omero non s’era accorto d’averlo interamente segnato. Ne basti il dire, che, se le Visioni cedono nell’evidenza e nella rapidità dello stile a quello di Dante, e nella dolcezza e leggiadria a quello del Petrarca, hanno però un carattere proprio di grandezza, gravità e splendore di stile, che non aveva ancora l’eguale la terza rima italiana.
La falsa opinione degli stranieri, che la lingua italiana mal sapesse trattare la tragedia, eccitò il Varano a darle opera. Rivide egli con ostinato studio il suo Demetrio, disapprovando l’edizione fattane dal Berno in Verona l’anno 1745, e corretto lo fece imprimere l’anno 1749 nel Seminario di Padova. Il Voltaire ne commendò assai l’autore del Demetrio. Quella tragedia è da taluno ripresa per l’ostinazione di Artamene a non palesarsi per Demetrio innanzi che le cose andassero all’estremo, nè sembragli tale ostinazione necessaria, bella e degna della tragedia, se non quando Demetrio, noto alla madre, tace eroicamente, per non recarle onta e nocumento.