Pagina:Alfonso Varano - Opere scelte 1705-1788.djvu/132

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Nulla scemò d’amaro alla mia pena;
     Ma qual ferro affinato in su l’incude,
     216D’ogni vil la spogliò parte terrena.
Queste le spine fúr pungenti e crude
     Fitte in me sul confin del viver lasso,
     219Che Amor pria m’intrecciò, poscia Virtude.
Fra queste giunta al periglioso passo
     Dal sen disciolsi un’infelice Prole
     222Spenta ne’ sensi, e indifferente a un sasso.
Cinta da queste al tramontar del sole
     Ultimo ai giorni miei fredda qual gelo,
     225Muta pel labbro chiuso alle parole,
E ingombra i lumi da un funesto velo
     Donai quant’ebbi di più caro in vita
     228A Lei, che mi volgea gli occhi dal cielo;
E mentre a Lei, che mi porgeva aíta,
     Per lasciar la Germana io mi conversi,
     231E la tenera insiem Madre smarrita.
Del pianto estremo le mie gote aspersi,
     Ma lo Sposo in offrir stetti sospesa,
     234Poi diedi un gran sospiro, e alfin l’offersi.
Ah! vedi: Ecco la via dai raggi accesa
     Della Donna immortale, e gli splendenti
     237Archi e trofei della divina impresa.
Vedi: e appena compiè gli ultimi accenti,
     Che nuove e ignote all’Uom terre vid’io,
     240Come in un mar d’immensa luce ardenti.
Era luce il sentier, poichè sparío
     Il primo che calcai; luce eran gli archi,
     243Sotto cui l’ampia strada a me s’aprío:
Nè i pilieri s’ergean di luce parchi,
     Che in doppia fila un vago ordin conduce
     246Di tinte in vivo lume immagin carchi;