Pagina:Algarotti - Il Newtonianismo per le dame, 1737.djvu/228

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216 Dialogo Quinto.

assorbiti dall’altro: e l’occhio che traguarda per elfi, non ne ricevei à nefluno; e quello è un di que’ fenomeni, la cui fpiegazione diviene una piova al lille ma, che ad ìfpiegarlo è valente.

Ciò che fi racconta, dille la Marche fa, di alcuni Ciechi, che diflinguono i colori al ratto, mi comincia ora a parer credibile. Anzi non è egli ancora ciò una riprova di queflo fillema? Se noi ave Aimo il tatto aliai più fino che non abbiamo, e qual per avventura aver lo ponno que* ciechi, non indovineremmo noi di qual colore debba effe re un corpo dal fentirne la varia groffezza delle particelle? Noi faremmo coli’ immediato fenfo, ciò che per via de* fu ai calcoli un Newtoniano farebbe, fe gli rivelaffe alcuno le nafeofe teffiture de’ corpi. I voilri ciechi, rifpos’io, ponno diftinguere i colori al tatto, anco nel fù già voftro fìik-ma Carte fiano, fecondo il quale vi dee etfer differenza nelle particelle de* corpi di differenti colori, acciocché pollano differentemente modificare i raggi della luce. Una tal prova, come vedete, e’ troppo equivoca per aver luogo colle altre, come lo è pure ciò, che li dice di una fpecie di fìngolar barometro, che anno alla Cina per indovinar qual tempo debba fare. Quello è una ilatua fu di una montagna polla, la qual predice i cangiamenti del Cielo e dell’aria dal cangiarli, ch’ella fa di colore. Ma non farebbe egli meglio di cercare un fenomeno più vicin di noi nel paefe della pulitezza e della Galanteria, e che non fi può fpiegare, che col fi (lem a Inglefe? Perchè debbon le Dame di quella felice contrada più