Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/109

Da Wikisource.

inferno - canto xxiv 103

     d’un ronchione, avvisava un’altra scheggia
dicendo: «Sovra quella poi t’aggrappa;
30ma tenta pria s’è tal ch’ella ti reggia».
     Non era via da vestito di cappa,
ché noi a pena, ei lieve e io sospinto,
33potevam su montar di chiappa in chiappa;
     e se non fosse che da quel precinto
piú che da l’altro era la costa corta,
36non so di lui, ma io sarei ben vinto.
     Ma perché Malebolge inver la porta
del bassissimo pozzo tutta pende,
39lo sito di ciascuna valle porta
     che l’una costa surge e l’altra scende:
noi pur venimmo al fine in su la punta
42onde l’ultima pietra si scoscende.
     La lena m’era del polmon sí munta
quand’io fui su, ch’i’ non potea piú oltre,
45anzi m’assisi ne la prima giunta.
     «Omai convien che tu cosí ti spoltre,»
disse ’l maestro «ché, seggendo in piuma,
48in fama non si vien, né sotto coltre;
     senza la qual chi sua vita consuma,
cotal vestigio in terra di sé lascia,
51qual fummo in aere ed in acqua la schiuma.
     E però leva su! vinci l’ambascia
con l’animo che vince ogni battaglia,
54se col suo grave corpo non s’accascia.
     Piú lunga scala convien che si saglia;
non basta da costoro esser partito:
57se tu m’intendi, or fa sí che ti vaglia».
     Leva’mi allor, mostrandomi fornito
meglio di lena ch’i’ non mi sentía,
60e dissi: «Va, ch’i’ son forte e ardito».
     Su per lo scoglio prendemmo la via,
ch’era ronchioso, stretto e malagevole,
63ed erto piú assai che quel di pria.