Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/164

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158 la divina commedia

     Questa isoletta intorno ad imo ad imo,
lá giú colá dove la batte l’onda,
102porta de’ giunchi sovra ’l molle limo;
     null’altra pianta che facesse fronda
o indurasse, vi puote aver vita,
105però ch’a le percosse non seconda.
     Poscia non sia di qua vostra reddita;
lo sol vi mostrerá, che surge omai,
108prendere il monte a piú lieve salita».
     Cosí sparí; e io su mi levai
senza parlare, e tutto mi ritrassi
111al duca mio, e li occhi a lui drizzai.
     El cominciò: «Seguisci li miei passi:
volgiamci in dietro, ché di qua dichina
114questa pianura a’ suoi termini bassi».
     L’alba vinceva l’ora mattutina
che fuggía innanzi, sí che di lontano
117conobbi il tremolar de la marina.
     Noi andavam per lo solingo piano
com’uom che torna a la perduta strada,
120che ’nfino ad essa li pare ire invano.
     Quando noi fummo lá ’ve la rugiada
pugna col sole, per essere in parte
123dove, ad orezza, poco si dirada,
     ambo le mani in su l’erbetta sparte
soavemente ’l mio maestro pose;
126ond’io, che fui accorto di sua arte,
     pòrsi ver lui le guance lacrimose:
ivi mi fece tutto discoverto
129quel color che l’inferno mi nascose.
     Venimmo poi in sul lito diserto,
che mai non vide navicar sue acque
132uomo che di tornar sia poscia esperto.
     Quivi mi cinse sí com’altrui piacque:
oh maraviglia! ché qual elli scelse
135l’umile pianta, cotal si rinacque
     subitamente lá onde l’avelse.