Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/174

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CANTO IV

     Quando per dilettanze o ver per doglie
che alcuna virtú nostra comprenda,
3l’anima bene ad essa si raccoglie,
     par ch’a nulla potenza piú intenda:
e questo è contra quello error che crede
6ch’un’anima sovr’altra in noi s’accenda.
     E però, quando s’ode cosa o vede
che tegna forte a sé l’anima volta,
9vassene il tempo e l’uom non se n’avvede;
     ch’altra potenza è quella che l’ascolta,
e altra è quella c’ha l’anima intera;
12questa è quasi legata, e quella è sciolta.
     Di ciò ebb’io esperienza vera,
udendo quello spirito e ammirando;
15ché ben cinquanta gradi salito era
     lo sole, e io non m’era accorto, quando
venimmo dove quell’anime ad una
18gridaro a noi: «Qui è vostro dimando».
     Maggiore aperta molte volte impruna
con una forcatella di sue spine
21l’uom de la villa quando l’uva imbruna,
     che non era la calla onde saline
lo duca mio, ed io appresso, soli,
24come da noi la schiera si partíne.
     Vassi in Sanleo e discendesi in Noli,
montasi su Bismantova in cacume
27con esso i piè; ma qui convien ch’uom voli;
     dico con l’ale snelle e con le piume
del gran disio, di retro a quel condotto
30che speranza mi dava e facea lume.