Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/196

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190 la divina commedia

     Poi mi parea che, poi rotata un poco,
terribil come folgor discendesse,
30e me rapisse suso infino al foco.
     Ivi parea che ella e io ardesse;
e sí lo ’ncendio imaginato cosse,
33che convenne che ’l sonno si rompesse.
     Non altrimenti Achille si riscosse,
li occhi svegliati rivolgendo in giro
36e non sappiendo lá dove si fosse,
     quando la madre da Chirone a Schiro
trafugò lui dormendo in le sue braccia,
39lá onde poi li Greci il dipartiro;
     che mi scoss’io, sí come da la faccia
mi fuggí ’l sonno, e diventai smorto,
42come fa l’uom che, spaventato, agghiaccia.
     Da lato m’era solo il mio conforto,
e ’l sole er’alto giá piú che due ore,
45e ’l viso m’era a la marina torto.
     «Non aver tema» disse il mio signore:
«fatti sicur, ché noi semo a buon punto;
48non stringer, ma rallarga ogni vigore.
     Tu se’ omai al purgatorio giunto!
vedi lá il balzo che ’l chiude dintorno;
51vedi l’entrata lá ’ve par disgiunto.
     Dianzi, ne l’alba che procede al giorno,
quando l’anima tua dentro dormía
54sovra li fiori ond’è lá giú adorno,
     venne una donna, e disse: ‛ I’ son Lucia:
lasciatemi pigliar costui che dorme,
57sí l’agevolerò per la sua via ’.
     Sordel rimase, e l’altre gentil forme:
ella ti tolse, e come il dí fu chiaro,
60sen venne suso; e io per le sue orme.
     Qui ti posò, ma pria mi dimostraro
li occhi suoi belli quella intrata aperta;
63poi ella e ’l sonno ad una se n’andaro».