Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/202

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196 la divina commedia

     Di contra, effigiata ad una vista
d’un gran palazzo, Micol ammirava
69sí come donna dispettosa e trista.
     I’ mossi i piè del loco dov’io stava,
per avvisar da presso un’altra storia,
72che di dietro a Micòl mi biancheggiava.
     Quiv’era storiata l’alta gloria
del roman principato, il cui valore
75mosse Gregorio a la sua gran vittoria:
     i’ dico di Traiano imperadore;
e una vedovella lí era al freno,
78di lacrime atteggiata e di dolore.
     Intorno a lui parea calcato e pieno
di cavalieri, e l’aguglie ne l’oro
81sovr’essi in vista al vento si movieno.
     La miserella intra tutti costoro
parea dicer: «Signor, fammi vendetta
84di mio figliuol ch’è morto, ond’io m’accoro».
     Ed elli a lei rispondere: «Or aspetta
tanto ch’i’ torni». E quella: «Signor mio,»
87come persona in cui dolor s’affretta,
     «se tu non torni?» Ed ei: «Chi fia dov’io,
la ti fará». Ed ella: «L’altrui bene
90a te che fia, se ’l tuo metti in oblio?»
     Ond’elli: «Or ti conforta; ch’ei conviene
ch’i’ solva il mio dovere anzi ch’i’ mova:
93giustizia vuole e pietá mi ritiene».
     Colui che mai non vide cosa nova
produsse esto visibile parlare,
96novello a noi, perché qui non si trova.
     Mentr’io mi dilettava di guardare
l’imagini di tante umilitadi,
99e per lo fabbro loro a veder care,
     «Ecco di qua, ma fanno i passi radi,»
mormorava il poeta «molte genti:
102questi ne ’nvieranno a li altri gradi».