Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/257

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purgatorio - canto xxii 251

     Veramente piú volte appaion cose
che danno a dubitar falsa matera
30per le vere cagion che son nascose.
     La tua dimanda tuo creder m’avvera
esser ch’i’ fossi avaro in l’altra vita,
33forse per quella cerchia dov’io era:
     or sappi ch’avarizia fu partita
troppo da me, e questa dismisura
36migliaia di lunari hanno punita.
     E se non fosse ch’io drizzai mia cura,
quand’io intesi lá dove tu chiame,
39crucciato quasi a l’umana natura:
     ‛ Perché non reggi tu, o sacra fame,
de l’oro l’appetito de’ mortali? ’,
42voltando sentirei le giostre grame.
     Allor m’accorsi che troppo aprir l’ali
potean le mani a spendere, e pente’mi
45cosí di quel come de li altri mali.
     Quanti risurgeran coi crini scemi
per ignoranza, che di questa pecca
48toglie ’l pentèr vivendo e ne li stremi!
     E sappie che la colpa che rimbecca
per dritta opposizione alcun peccato,
51con esso insieme qui suo verde secca:
     però, s’io son tra quella gente stato
che piange l’avarizia, per purgarmi,
54per lo contrario suo m’è incontrato».
     «Or quando tu cantasti le crude armi
de la doppia tristizia di Iocasta,»
57disse ’l cantor de’ bucolici carmi
     «per quello che Cliò teco lí tasta,
non par che ti facesse ancor fedele
60la fede, senza qual ben far non basta.
     Se cosí è, qual sole o quai candele
ti stenebraron, sí che tu drizzasti
63poscia di retro al pescator le vele?»