Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/28

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22 la divina commedia

     Io venni in luogo d’ogni luce muto,
che mugghia come fa mar per tempesta,
30se da contrari venti è combattuto:
     la bufera infernal, che mai non resta,
mena li spirti con la sua rapina,
33voltando, e percotendo li molesta.
     Quando giungon davanti a la ruina,
quivi le strida, il compianto, il lamento;
36bestemmian quivi la virtú divina.
     Intesi ch’a cosí fatto tormento
ènno dannati i peccator carnali,
39che la ragion sommettono al talento.
     E come li stornei ne portan l’ali,
nel freddo tempo, a schiera larga e piena;
42cosí quel fiato li spiriti mali
     di qua, di lá, di giú, di su li mena;
nulla speranza li conforta mai,
45non che di posa, ma di minor pena.
     E come i gru van cantando lor lai,
facendo in aere di sé lunga riga,
48cosí vidi venir, traendo guai,
     ombre portate da la detta briga;
per ch’i’ dissi: «Maestro, chi son quelle
51genti che l’aura nera sí gastiga?»
     «La prima di color di cui novelle
tu vuo’ saper,» mi disse quelli allotta
54«fu imperadrice di molte favelle.
     A vizio di lussuria fu sí rotta,
che libito fe’ licito in sua legge
57per tòrre il biasmo in che era condotta.
     Ell’è Semiramis, di cui si legge
che succedette a Nino e fu sua sposa:
60tenne la terra che ’l Soldan corregge.
     L’altra è colei che s’ancise amorosa,
e ruppe fede al cener di Sicheo;
63poi è Cleopatrás lussuriosa.