Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/305

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purgatorio - canto xxxii 299

     La bella donna che mi trasse al varco
e Stazio e io seguitavam la rota
30che fe’ l’orbita sua con minore arco.
     Sí passeggiando l’alta selva vòta,
colpa di quella ch’al serpente crese,
33temprava i passi un’angelica nota.
     Forse in tre voli tanto spazio prese
disfrenata saetta, quanto eramo
36rimossi, quando Beatrice scese.
     Io senti’ mormorare a tutti ‛ Adamo ’;
poi cerchiaro una pianta, dispogliata
39di foglie e d’altra fronda in ciascun ramo.
     La coma sua, che tanto si dilata
piú, quanto piú è su, fòra da l’Indi
42ne’ boschi lor per altezza ammirata.
     «Beato se’, grifon, che non discindi
col becco d’esto legno dolce al gusto,
45poscia che mal si torce il ventre quindi»:
     cosí dintorno a l’arbore robusto
gridaron li altri; e l’animal binato:
48«Sí si conserva il seme d’ogni giusto».
     E vòlto al temo ch’elli avea tirato,
trasselo al piè de la vedova frasca,
51e quel di lei a lei lasciò legato.
     Come le nostre piante, quando casca
giú la gran luce mischiata con quella
54che raggia dietro a la celeste lasca,
     turgide fansi, e poi si rinnovella
di suo color ciascuna, pria che ’l sole
57giunga li suoi corsier sotto altra stella;
     men che di rose e piú che di viole
colore aprendo, s’innovò la pianta,
60che prima avea le ramora sí sole.
     Io non lo ’ntesi, né qui non si canta
l’inno che quella gente allor cantaro,
63né la nota soffersi tutta quanta.