Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/310

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304 la divina commedia

     avvenne a me, che senza intero suono
incominciai: «Madonna, mia bisogna
30voi conoscete, e ciò ch’a essa è bono».
     Ed ella a me: «Da tema e da vergogna
voglio che tu omai ti disviluppe,
33sí che non parli piú com’uom che sogna.
     Sappi che ’l vaso che ’l serpente ruppe
fu e non è; ma chi n’ha colpa, creda
36che vendetta di Dio non teme suppe.
     Non sará tutto tempo senza reda
l’aquila che lasciò le penne al carro,
39per che divenne monstro e poscia preda;
     ch’io veggio certamente, e però il narro,
a darne tempo giá stelle propinque
42secure d’ogn’intoppo e d’ogni sbarro,
     nel quale un cinquecento diece e cinque,
messo di Dio, anciderá la fuia
45con quel gigante che con lei delinque.
     E forse che la mia narrazion, buia
qual Temi e Sfinge, men ti persuade,
48perch’a lor modo lo ’ntelletto attuia;
     ma tosto fier li fatti le Naiade
che solveranno questo enigma forte
51senza danno di pecore o di biade.
     Tu nota; e sí come da me son porte,
cosí queste parole segna a’ vivi
54del viver ch’è un correre a la morte;
     e aggi a mente, quando tu le scrivi,
di non celar qual hai vista la pianta
57ch’è or due volte dirubata quivi.
     Qualunque ruba quella o quella schianta,
con bestemmia di fatto offende a Dio,
60che solo a l’uso suo la creò santa:
     per morder quella, in pena e in disio
cinquemila anni e piú l’anima prima
63bramò colui che ’l morso in sé punío.